Parole come un viatico
Parole come un viatico
“L’umorismo è la cosa più seria di tutte”
Giovannino Guareschi, L’umorismo,
a cura di Andrea Paganini, L’ora d’oro, Poschiavo, 201, p. 52
Quello che conta in una immagine umoristica è la leggerezza, una leggerezza che racchiude un mondo in un colpo d’occhio, come un guardare il reale da un buco segreto che lo stravolge ed insieme lo rende ancora più denso, pregnante, svelato nella sua filigrana più intima. Una visione da lontano, con l’occhio incollato al microscopio del cuore e delle emozioni, che in questo distacco, in questo vuoto, si liberano e si librano in una scoperta, che viene ribaltando quello che l’occhio vede e costruendo un giudizio, un pensiero, una metafora in una lingua particolare che è quella dell’umorismo, che elabora parole figurate o figure parlanti di un mondo altro, che in un certo senso ci strania da noi stessi, dalla nostra quotidianità, dal nostro torpore, per farci piombare o involare in una frattura del reale, in una crasi di cui non ci eravamo accorti. E questo ci porta sorpresa e immediato piacere, di cui il riso o il sorriso diventa la manifestazione immediata ed evidente, reattiva per una serenità di giudizio, per un non coinvolgimento personale, intimo. E così l’umorismo è uno spazio, un evento nel quale vengo coinvolto senza volerlo, in modo inaspettato, una incrinatura temporale che mi fa reagire notando ed annotando una dimensione contraddittoria, conflittuale – quella che Pirandello chiamava “il sentimento del contrario” – , tra consuetudine di rappresentazione del reale e percezione. La reazione è il riso (o il sorriso) che è emozione diretta, esplicita, di piacevole sorpresa, poiché è indubbio che il piacere è la prima manifestazione, ma forse commista ad uno spaiamento, un lieve disarmonico squilibrio, che può arrivare ad una sottile inquietudine, alla quale solo in un secondo tempo seguiranno riflessioni, analisi e giudizi: prese di coscienza, se si vuole
“WORLD HUMOR AWARDS” nasce in terra parmense sotto il segno beneaugurante di Giovannino Guareschi, dopo una edizione che si può considerare sperimentale, un numero zero. La scelta non è stata casuale poiché la denominazione data allora: “dal Mondo piccolo al Mondo grande”, rimane come sottotitolo di questa indicazione. Lo scorso anno l’abbiamo usata come l’indizio di un punto ideale, culturale e storico, per l’irradiarsi da un luogo preciso, da una dimensione anche topografia o per lo meno di geografia letteraria, di onde attrattive che si diffondessero il più estesamente possibile, raggiungendo a trecentosessanta gradi ogni possibile collaboratore. Giovannino Guareschi, cantore del “mondo piccolo” che ha conquistato il mondo ne era, e ne rimane ovviamente, la bussola, il modello, il protettore ed il richiamo immediato, per far comprendere insieme la semplicità della nostra proposta e come essa non volesse né potesse avere barriere: il richiamo alla comunità dispersa di coloro che, solidali tra loro, sono uniti dalla stessa anomalia di reagire con il sorriso alle distorsioni del reale, di condividere un tic che li porta ad illuminarsi istintivamente nel volto di fronte ad una situazione comica. Tutto questo in un momento in cui i mass media e tutto intorno a noi, ad incominciare dalla marea montante della volgarità e delle violente contrapposizioni, che incrinano equilibri esistenziali e comportamenti sociali, sembrano, nella loro becera aggressività, relegare l’umorismo ed il sorriso tra gli orpelli di un passato da mitizzare irrecuperabile. Anche in questo lo stesso Guareschi, immerso in una vita di scontri e di battaglie, ci insegna e dimostra che uno squarcio di riso è sempre possibile,in qualsiasi situazione ci si trovi a vivere ed operare.
Si era ben consapevoli che il gennaio 201 l’attentato contro la sede parigina del giornale Charlie Hebdo, poneva seri problemi anche di riflessione sulla libertà e i limiti dell’umorismo, che lo scontro attuale tra il sindaco di Amatrice ripropone, sotto altra luce ovviamente, ma non in modo meno contraddittorio e conflittuale. A noi interessava ed interessa con semplicità, quasi con umiltà, di rioccupare uno spazio, di farci pionieri di una riconquista di un territorio, quello dell’umorismo, che diventa veramente territorio umano, che si scatena un sorriso, gli occhi si illuminano e la bocca s’imbarca con labbra all’insù. Non ci interessano qui ed ora le teorie, ma la pratica, l’esercizio diretto ed esplicito di un diritto, il manifestare nell’atto del progetto comico di un giudizio, nel confermare un allargamento della nostra comune umanità. Questa prima edizione effettiva ha risposto a tutte le nostre attese con una energia ed una vitalità in parte inaspettate, prima di tutto per il tema che abbiamo proposto: veramente di quelli da far tremare gambe e polsi, avendo invitato a parlare con il linguaggio dell’immagine unica del “ Climate Change”, il cambiamento climatico, che più che alla battuta comica, alla leggerezza dell’invenzione rimanderebbe alla categoria del “sublime” nel senso del trattato dello Pseudo Longino, fatto proprio dal romanticismo. Per meglio farci capire, citiamo: “è Sublime ‘tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore’, il sublime può anche essere definito come ‘l’orrendo che affascina’. La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come mari burrascosi, cime innevate o eruzioni vulca- niche, diventa dunque la fonte del Sublime perché ‘produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire, un’emozione però negativa, non suscitata dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall’oggetto.” Come si vede ho citato questa categoria non a caso, visto il tema, che più catastrofico di così è impossibile immaginare.
Guardando con attenzione ogni superba vignetta pervenuta questa dimensione del “sublime” romantico non si ritrova: la sensazione è che lo stupore prevalga nella contemplazione di un disastro a venire.
Queste vignette sono in realtà metafore e già Cicerone, nel “De oratore” definiva così la trasposizione simbolica di immagini: “ogni metafora… agisce direttamente sui sensi e soprattutto su quello della vista, che è il più acuto… le metafore che si riferiscono alla vista sono molto più efficaci, poiché pongono al cospetto dell’animo ciò che non potremmo né distinguere né vedere”. E’ esattamente quanto avviene scorrendo queste immagini, che non riescono a dire l’indicibile – la fine di ogni vita sulla terra – se non in allegoria, con colorate allusioni, con delicate invenzioni, che nella dolcezza delle cromie hanno la lievità delle favole poetiche, dei rimandi visivi che “pongono al cospetto dell’animo” l’indefinibile e l’invisibile: Il futuro viene presentato come un devastato presente, una desertificazione della bellezza naturale che ancora ci affascina, una fuga nel surreale e nell’iperbolico. Questa evidente difficoltà nell’immaginare una fine – la fine – insieme inquieta, poiché avverte che non abbiamo ancora collettivamente gli strumenti per capire il destino che ci aspetta, ma sono vaghe percezioni e trasalimenti, ed insieme rassicura, perché ogni immagine è così concentra- ta sul e nel presente che ci dice che abbiamo ancora tempo, c’è ancora spazio per la salvezza, per trovare soluzioni, se saremo coscienti che la nostra sorte è legata a quella di tutti i componenti viventi della nostra terra, fauna e flora – diciamolo in termini linneiani per essere davvero onnicomprensivi. Anche il linguaggio figurativo elegante, le sottili citazioni stilistiche raffinate, i colori accattivanti e l’armonia delle composizioni ribadiscono visivamente la stessa speranza, quel sottile anelito di salvezza che è prima di tutto un appello ad un sentire comune, ad un civile e globale impegno.
Incredibilmente sembra contraddire questa brezza salvifica la sezione delle caricature, che per definizione, sono deformazione del reale, specialmente fisiognomico, che ci rimandano nostri contemporanei messi a nudo nella loro più privata e nascosta psicologia, ce li rendono nelle loro debolezze e nei loro limiti: dimostrano che il re è nudo: sempre, per matite e pennarelli acri ed impietosi. Salutare questa immersione in sberleffi ed irriverenze, soprattutto pensando all’operazione continua dei mass media di beatificare i protagonisti della vita sociale e politica di oggi, nascondendo i loro limiti e le loro impotenze. Un forte vento moralizzatore anima, come sempre, queste caricature.
Parma, fine estate 2016
Marzio Dall’Acqua
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