Il compleanno del disincanto
Il compleanno del disincanto
di Marzio Dall’Acqua
Vorrei renderti visita
nei tuoi regni longinqui
o tu che sempre
fida ritorni alla mia stanza
dai cieli, luna,
e, siccom’io, sai splendere unicamente dell’altrui speranza.
Andrea Zanzotto,
Nautica celeste per la II egloga in IX Egloghe, 1962
Un compleanno è il soggetto della sezione cartoon. quello della notte del 20 luglio 1969 dell’allunaggio dell’Apollo 11 con il primo passo sulla superficie gessosa ed impalpabile della luna – una specie di borotalco – sulla quale imprimere un simbolo nuovo ed assoluto, come è un’orma calzata di tuta spaiale. Un compleanno però qui senza festa, un po’ triste, inquieto a scorrere questi cartoon. Certamente un compleanno controcorrente, rispetto alla retorica ufficiale, che ancora domina. Mentre scorrono davanti agli occhi le immagini nel loro graffiante umorismo, si ha la sensazione di ritrovare temi, idee, riflessioni già conosciute, per di più attraverso le parole di un poeta, uno dei più grandi in Italia nel XX secolo: Andrea Zanzotto. Nel 1969, proprio a ridosso dell’avvenimento pubblicò, in cinquecento copie con un editore locale della natia Pieve di Soligo, un poemetto sull’allunaggio, che solo nel 1999 entrò a far parte delle sue opere edite da Mondadori. Il titolo: “Sguardi i Fatti e Senhal”. Senhal – “segnale” – è un termine della poesia trobadorica provenzale, all’inizio della poesia europea, per indicare con una specie di eufemismo la persona amata o un caro amico. Per capirci: “la donna dello schermo” di Dante Alighieri nella “Vita Nova”. Ecco per Zanzotto, ma anche per molti dei disegnatori del WHA quello che Neil Armstrong definì “un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità” è in realtà e rimane nell’atmosfera immota del satellite terrestre un “trauma in questo immenso corpo di bellezza”, una violenza che macchia un chiarore eterno, il segno di un calpestio che indica possesso, intrusione e imposizione di una presenza estranea in un mondo altro. E questo molti disegnatori lo hanno rappresentato e commentato a loro modo con il segno, il colore e gli umori che l’evento scioccante suggeriva alla loro sensibilità, perché appare – ancor oggi, dopo mezzo secolo – indelebile, non risolvibile. Lo stesso uso del bianco e nero, che corrisponde alla cromia delle trasmissioni televisive del tempo – quasi un segnale dell’eroicità dell’impresa – sottolinea invece questa “conquista” esterna ed estranea senza colori, vista nel solco delle usurpazioni occidentali da Colombo in poi del Nuovo Mondo. William Faulkner, nel 1951, scrisse “Requiem for a Nun” (Requiem per una monaca), una commedia in tre atti preceduta da lunghi prologhi senza dialogo. In un affascinante preambolo sintetizza la storia americana attraverso il succedersi nel tempo dei passi degli abitanti: dalle lievi orme di daino degli indiani e dei primi esploratori, all’incisione più marcata dei cacciatori e poi l’impronta ancor più incisa dei coloni, dei proprietari, infine a quella sicura, ben definita dei capitalisti. Ecco l’orma di Armstrong sembra essere la conclusione di questo percorso nella sua nitidezza e concavità di marchio, di sigillo, come segno di oppressione e permanenza. Il poemetto di Zanzotto è di difficile lettura e criptico nelle interpretazioni, per cui si rimanda al commento che ne ha fatto Mattia Carbone, curatore dell’edizione di Ca’ Foscari di Venezia, in “Italianistica 7”, ma alcuni passi sono chiari e chiosano, quasi commentano, si potrebbe dire, le immagini dei cartoon. Ed una riguarda ì’americanizzazione dell’impresa. Sulla luna è stata lasciata una targa con la scritta “Qui uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna, Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità.” Ma in realtà il tutto è una dimostrazione e una dichiarazione di superiorità: non dell’homo sapiens ma dell’homo occidentalis – persino nella data che fa riferimento al cristianesimo – della potenza americana. Per cui non a caso alcuni disegnatori hanno visto nella bandiera americana sulla luna la stessa occupazione imposta che segnala una foto famosa, quella di Joe Rosenthal, fotografo dell’Associated Press, che il 23 febbraio 1945 fotografò sei marines che sul Monte Suribachi, sull’isola giapponese di Jwp Jima issarono la bandiera a stelle e strisce. Solo una dissennata guerra competitiva tra potenze dava agli americani il pretesto di rappresentare l’intera umanità mentre gridavano dal cielo la loro vittoria. E così quello che noi continuiamo a definire “evento storico” al poeta appare “abbastanza banale”, «In primo luogo perché non ha motivazioni che non siano banali, e queste motivazioni consistono soprattutto nella lotta di prestigio tra le due superpotenze (o meglio superimpotenze) che, in margine all’elaborazione di un programma missilistico per distruggersi a vicenda, mettono a punto anche il razzo per andare sulla Luna. Siamo di fronte a un sottoprodotto delle “macchine” atomiche le quali, nel loro tentativo di distruggersi a vicenda, scoprono anche momenti di pausa in cui elaborare qualcosa di assolutamente inutile, come appunto la conquista della Luna».
Il confronto tra americani e sovietici è ricordato in alcuni cartoon, ma il tema si aggiorna, non inquietando meno, per un attuale duello, poco enfatizzato, ma in corso, tra americani e cinesi, con destinazione Marte, e le matite graffiano così un presente che delinea già il futuro. Un altro motivo di riflessione critica: la spettacolarità dell’evento, la sua forza mediatica che ancora si riflette nella nostra vita. Così immensa, ma anche così “banale”, come dice Zanzotto “lo gridano i filmcroste in moda i fumetti in ik i cromatismi acrilici”: “sopraffazione appena invetrinata ecco l’arresto alt nella diapositiva / è necrofilia somma necro sommo” ed ancora: “Io piango, ho saputo del fatto, / nemmeno cronaca nerocinema, fatto ordinario roba così di scarto gratis data / mentre stavo guardando”, perché “Tivù-e-cinema è la nostra consolazione / Per tivucinema l’animo nostro s’innalza come se da lui stesso fosse generato ciò che egli ha udito e visto / Sempre è volto lo sguardo e l’occhio in collirio di lacrima “. Ed anche questo tema lo ritroviamo in diversi cartoon di diversi paesi collegato a quello non meno equivoco del consumismo sfrenato: un’impresa come un prodotto ce lo dice il simbolo di McDonalds in molte vignette.
Ma lo ritroviamo ancor più pressato e aggiornato con riferimenti all’attualità di internet, con i social, con FB, con un simbolismo di funzioni che ha sostituito antichissimi contrassegni, alla fine con una “dissacrazione funzionalizzata”, «In realtà, nella conquista della Luna, si è rivolto un inchino, non sappiamo se più idiota o astuto, al precipitato mito antichissimo, alla Luna come emblema dell’irraggiungibile, punto di luce dell’assoluto, test di ciò che sta di fronte all’umano, quasi immagine stessa della trascendenza. Si sa che nella fantasia collettiva di pressoché tutti i popoli questo fantasma di trascendenza, di irraggiungibilità, è molto spesso raffigurato appunto nella Luna, nell’emblematicità della Luna. Chi avesse, pertanto, toccato la Luna, si sarebbe aggiudicato il titolo di un’“assoluta” supremazia. È dunque un caso di dissacrazione funzionalizzata, che ha in sé tutti i tratti più ripugnanti (banali) della realtà odierna».
Questo senso critico, non certo mediocremente commemorativo, percorre tutte le vignette presentate al WHA: non c’è eccitazione, né esaltazione retorica – come invece sta avvenendo sulla stampa e sui massmedia che celebrano se stessi ed il loro imporsi negli anni “attraverso la lunga diretta” che li ha resi potenti ed irrinunciabili – che in questi mesi aleggiano mortuari e asfissianti. L’inquietudine e la cautela di questi disegnatori danno l’idea di una consapevolezza che altri mezzi e momenti non hanno. Certo nell’idea che la poesia, che tanta parte aveva dedicato alla luna e al suo chiarore (contro il quale non dimentichiamo si schieravano già i futuristi d’antan), non muore con l’allunaggio alcuni si ritrovano, anche se in certi sembra languire e sfinirsi, mentre in altre vignette ha trovato una propria strada.
Quello che rimane critica invece è la situazione del nostro pianeta, è il nostro modo di vivere tra guerre, violenze e diseguaglianze: vale a dire la difformità tra preteso progresso tecnologico e politico e ritardo morale. Da qui l’immagine di astronauti solitari che naufragano sulla luna o, al contrario, di fughe organizzate dalla terra, di scambi che sono insieme ricerca di solitudine e di salvezze impossibili. Certo il mito che “dai tessuti psichici che hanno retto l’umano per migliaia di anni” è stato scosso e “rappresenta esemplarmente la fine del genio mitologico- simbolico e sancisce il suo definitivo trapasso nel mondo polveroso e asettico della tecnica.” Le immagini di molti cartoon sono quasi illustrazioni di questi concetti, come dell’altro: «Povera cosa, quante povere cose», per cui non vi si trova la retorica dell’eroismo, dell’impresa titanica, del trionfo di una genialità umana che conquista e, su di una linea di progresso, vuole conquistare, al punto che “così minima la refurtiva, e poi subito persa” è quello che si è riportato a casa da quel primo allunaggio. Trionfa qui la saggezza degli illustratori satirici, lo scetticismo dei disegnatori e il disincanto e l’occhio sul presente. Sembrano finire come Zanzotto conclude il suo poemetto/dialogo: “Passo e chiudo”.
Parma, 1 giugno 2019
Marzio Dall’Acqua
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